La differenza delle due crisi nel fomentare il consenso verso i partiti populisti può essere spiegata dal diverso impatto in termini di conseguenze. Mentre nel primo caso, la crisi è durata soltanto un paio d’anni, dopo di che le economie dei paesi occidentali hanno iniziato a riprendersi, nel secondo caso, la crisi ha prodotto effetti più pesanti e prolungati. Negli ultimi anni, nella maggior parte delle democrazie occidentali si è verificato un marcato peggioramento dei principali indicatori macroeconomici: i tassi di crescita nazionali, crollati nel 2009, stanno ancora lottando per tornare ai livelli pre-crisi, la disuguaglianza del reddito è aumentata notevolmente, e la disoccupazione (in particolare la disoccupazione giovanile) e la povertà sono salite a livelli preoccupanti.
Questa situazione ha generato un malcontento tra i cittadini delle democrazie occidentali, che non sono state in grado di contrastare, in maniera tempestiva ed efficace, gli effetti negativi della crisi. Dal punto di vista politico, l’ultima crisi economica ha avuto la conseguenza negativa di delegittimare il sistema democratico. Dato che i sistemi liberali sono stabili se una grande maggioranza dei cittadini sostiene direttamente le istituzioni democratiche come unica forma legittima di governo, il fatto che molti vantaggi materiali di solito forniti dalle democrazie non siano stati elargiti ha avuto la conseguenza che molti cittadini, delusi da ciò che non è stato garantito dai partiti politici tradizionali, stanno ora sostenendo nuove forze, nella maggior parte dei casi populiste. E come già successo in Europa negli anni 1920 e 1930, la parola “democrazia” sta diventando per troppi cittadini una sorta di scatola vuota.
Le cause alla radice della crescita del populismo dovrebbero quindi essere ricercate nella crescente incapacità delle democrazie occidentali di rispondere alle preoccupazioni dei cittadini e di garantire loro elevati livelli di benessere, ed è necessario prendere atto del fatto che questa incapacità sta avendo la conseguenza non solo di ridurre i consensi per i partiti politici tradizionali, ma anche di provocare una delegittimazione delle istituzioni democratiche e del sistema democratico nel suo complesso.
Cosa si può fare per evitare altri contraccolpi populisti e, possibilmente, evitare qualsiasi contraccolpo non democratico? In altre parole, cosa si può fare per curare l’infezione populista prima che diventi una malattia incurabile? Dal momento che la diffusione dell’infezione è dovuto principalmente, da un lato, all’incapacità delle democrazie occidentali di rispondere alle crisi economiche e d’altra parte, alla conseguente diminuzione della loro legittimità di fronte ai loro cittadini, è necessario impiegare una duplice strategia.
Da un lato, le democrazie liberali devono cominciare a ripensare i loro sistemi economici e gli strumenti da utilizzare in caso di gravi crisi economiche, sia a livello nazionale che internazionale. Abbiamo bisogno di ripensare agli anni successivi alla grande crisi del 1929, quando le democrazie liberali sono riuscite a sopravvivere solo grazie all’introduzione di importanti piani per l’occupazione e di politiche di sostegno al reddito (come è successo con il New Deal negli Stati Uniti). Quando i paesi democratici non sono riusciti a farlo, il risultato è stato l’aumento dei partiti politici totalitari. Proteggere la democrazia oggi significa prima di tutto osare di più nella sfera economica, in termini di creazione di opportunità di lavoro per i giovani e di protezione sociale per i più deboli.
D’altra parte, i partiti tradizionali, così come le nuove forme di partecipazione politica democratica, dovrebbero impegnarsi per riaccendere nei cittadini l’interesse per la politica e per gli affari pubblici in generale, soprattutto tra le classi più giovani, in modo da superare l’attuale crisi di legittimità che affligge i sistemi democratici. Per fare ciò, le forze democratiche devono diventare più sensibili alle preoccupazioni e le aspirazioni dei cittadini, approfondendo la loro inclusione nei processi politici interni. Inoltre, le forze democratiche devono approfondire la loro collaborazione internazionale, spingendo per l’inclusione dei cittadini anche nei processi decisionali internazionali. In altre parole, tutte le forze politiche democratiche, nuove e tradizionali, devono lavorare sodo per includere i cittadini in tutte quelle decisioni che riguardano direttamente la loro vita, sia rispetto agli affari nazionali che internazionali.
Può una dose maggiore di democrazia essere la vera risposta all’infezione populista? Negli Stati Uniti, il Partito Democratico ha già imparato la dura lezione che il candidato migliore contro il populismo non è necessariamente quello più vicino all’establishment, e che proporre vecchie soluzioni per nuovi tipi di problemi può essere controproducente. Ora la sfida per i partigiani democratici è quella di essere in grado di fornire risposte nuove, credibili e alternative in contrasto con quelle offerte dalla retorica populista. Pochi leader, tra cui Benoît Hamon in Francia, Jeremy Corbyn nel Regno Unito e, prima di loro, Alexis Tsipras in Grecia, sembrano aver accettato la sfida di ripensare le procedure e i risultati della democrazia. Oggi, la fede nella democrazia potrebbe essere nelle loro mani, e nella loro capacità di eseguire questa funzione.
Note:
[1] Questo articolo nasce da un dialogo al 21° Global Dynamics presso l’Università della California a Santa Barbara.
[2] I regimi “democradura” e “dictablanda” si riferiscono a quei regimi che vengono anche detti “regimi Ibridi”. Vedi: Morlino, L. (2009). Are there hybrid regimes? Or are they just an optical illusion? European Political Science Review, 1(02), 273-296.
[3] Roberto Stefan Foa e Yascha Mounk (2016). The democratic disconnect. Journal of Democracy,27(3), pp. 5-17.
[4] Juan J. Linz e Alfred Stepan (1996). Problems of Democratic Transition and Consolidation. Baltimore: Johns Hopkins University Press.
[5] La classificazione dei partiti populisti si basa principalmente su quella fornita da Wolfram Nordsieck, in base alla quale i partiti populisti fanno parte dello spettro politico della destra: “partiti populisti di destra sono quei partiti di protesta che fanno appello alle paure e alle frustrazioni dei cittadini. Sono apparsi nei primi anni 1970. Questi partiti combinano posizioni nazionaliste con una retorica anti-elitaria e una critica radicale delle istituzioni politiche. Essi di solito preferiscono leggi rigorose e politiche anti-immigrazione”. Tuttavia, la limitazione della definizione dei partiti populisti comprendente solo i partiti di destra risulta problematica dal momento che possiamo rintracciare partiti di centro o di centro-sinistra che impiegano la stessa retorica anti-establishment e anti-elitaria, come nel caso di Podemos in Spagna. Inoltre, possiamo trovare istanze populiste in cui la frattura sinistra/destra è meno marcata, come nel caso del Movimento 5 Stelle in Italia, che propone politiche sia di sinistra che di destra, incorniciate da una retorica anti-establishment. Abbiamo quindi deciso di lasciare da parte la classificazione di sinistra/destra, per semplificare la definizione di partiti populisti, considerando più rilevante la presenza di una forte componente antisistema e anti elitaria.
Daniele Archibugi: Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma, e Birkbeck College, Università di LondraMarco Cellini: Università LUISS di Roma